Riflessioni – Chiesa Cattolica Romana (Parte V) – Santa Cena del Signore o Eucaristia?

Ad oggi non mi ritengo un credente (non ancora almeno…), tuttavia si è ritenuto necessario, per amor di ‘verità’, denunciare come sia stato, nei secoli, falsato, da parte della Chiesa Cattolica Romana, il messaggio evangelico contenuto nelle Sacre Scritture.
*Articolo tratto dal contenuto di miei vecchi scritti (ovvero di oltre vent’anni fa) qui, semplicemente, ricopiato nella parte di interesse.
N.B. I passi biblici riportati nel seguente studio (nel caso non sia indicato diversamente) sono presi dalla traduzione biblica Nuova Riveduta (società biblica di Ginevra). La parola con carattere maiuscoletto: ‘SIGNORE’, nella traduzione biblica Nuova Riveduta, viene usata per indicare il termine ebraico: ‘Yahweh’ (nome di Dio); la parola con carattere normale: ‘Signore’ è, invece, la traduzione letterale del termine ebraico: ‘Adhonai’. Laddove ricorre ‘Adhonai Yahweh’ è riportato (sempre nella versione Nuova Riveduta) con l’espressione ‘il Signore, DIO’ (per evitare la ripetizione).
Matt. 26:26-29: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane e, dopo aver detto la benedizione, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo:<Prendete, mangiate, questo è il mio corpo>. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo:<Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio>”.
Luca 22:19-20: “Poi prese del pane, rese grazie e lo ruppe, e lo diede loro dicendo: <Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: <Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi>”.
Marco 14:22-25: “Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: <Prendete, questo è il mio corpo>. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse:< Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio>”.
1 Corinzi 11:23-29: “ …cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: <Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: <Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga>…”.
Proprio come la Pasqua permetteva di fare agli israeliti ‘un passo indietro nel tempo’ e ricordare l’esodo dei loro padri dall’Egitto, così la Cena del Signore permette ai credenti di commemorare e celebrare personalmente la liberazione dalla schiavitù del peccato, ottenuta grazie alla morte espiatrice di Cristo Gesù.
Davanti al simbolismo del pane e del vino, i credenti sono posti di fronte al terribile prezzo che è stato, necessariamente, pagato per essere riscattati dalla tirannia del peccato.
La Cena del Signore ricorda ai credenti che il peccato non soltanto separa da Dio, ma anche gli uni dagli altri. In questo senso rappresenta sia la comunione individuale col Cristo, ma anche l’unità spirituale dei credenti riuniti nella medesima comunione divina.
I teologi cattolici vedono, nei passi prima citati e in quelli che citeremo, la conferma che Gesù si trovi tutto intero (la sua divinità, il suo sangue, il suo corpo e la sua anima) nell’ostia e nel vino, in pratica che Gesù è fisicamente presente in questi due elementi in modo intero e completo.
Giov. 6:51: “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”.
Giov. 6:52-58: “I Giudei dunque discutevano tra di loro, dicendo: <Come può costui darci da mangiare la sua carne?> Perciò Gesù disse loro: <In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me. Questo è il pane che è disceso dal cielo; non come quello che i padri mangiarono e morirono: chi mangia di questo pane vivrà in eterno>”.
In Giov. 6:35,40,47 Gesù ripete che chiunque crede in Lui riceve la vita eterna e la certezza di essere salvato. In Giov. 6:50,51,53,54,58, nello stesso capitolo, colui che mangia e beve la carne e il sangue di Gesù riceve esattamente le stesse grazie di chi crede nel Figlio dell’Uomo; è chiaro che Gesù parli, in entrambi i casi, della fede in Lui e del riconoscerlo come Salvatore Divino.
Infatti, in Giov. 6:60,63, in successione al passo prima riportato (Giov. 6:52-58), Gesù risponde al mormorio, sia dei giudei che dei suoi discepoli, in questo modo: “Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: < Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo? >….<…È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho dette sono spirito e vita>”.
Egli stesso, dunque, dichiara che le sue parole sono spirito e vita e che si devono intendere spiritualmente. Diventa chiaro che mangiare la carne di Gesù è l’esatto equivalente di credere in Lui. Qui Gesù usa un simbolismo particolare che equivale a voler dire che i credenti devono partecipare completamente e con fiducia alla natura di Cristo Gesù come ‘pane disceso dal cielo’, quindi, come Dio incarnato sulla terra, e credere all’opera del suo ‘sangue sparso per molti’ (Giov. 6:51,56; Luca 22:19-20), quindi come Dio Redentore morto per essi sulla croce. Solo chi avrà creduto in Lui e alla sua opera avrà vita eterna. Non vi è alcun riferimento a del pane e a del vino consacrati (eucaristia cattolica).
Solo la fede salva e il discernimento della natura divina e dell’opera redentrice di grazia di Dio in Cristo Gesù; non un mangiare o un bere nell’uso comune o cattolico: Giov. 6:35,40,47,63. Giov. 6:35-63: “…se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…<Come può costui darci da mangiare la sua carne? >…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui…così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me…Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: <Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo? >…<…È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità; le parole che vi ho detto sono spirito e vita >”.
Leggendo tutto il capitolo 6, dal v. 35 al v. 63, si riesce, ancor meglio, a comprendere che le parole di Gesù “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue” hanno un significato spirituale e non letterale: Giov. 6:60-63. Per comprendere meglio le parole spirituali di Gesù, ovvero che quando Egli dice: “chi mangia il pane disceso dal cielo”, “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”, voglia semplicemente dire che chi crede in Lui e nella sua opera ha vita eterna, leggiamo i seguenti passi; una mente attenta non troverà difficile comprendere la connessione dei vari discorsi di Gesù, nei vari passaggi, con l’unico elemento necessario, ovvero credere in Gesù per essere salvati; il resto è un simbolismo usato dal Signore per portare il suo messaggio in diversi modi arricchendolo con ulteriori particolari.
Giov. 6:35-47: “….Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete…Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno….In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna”.
Giov. 8:12: “…Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Giov. 8:24: “perché se non credete che io sono, morirete nei vostri peccati”.
Giov. 3:36: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (le parole di questo verso citato sono di Giovanni il Battista e non di Gesù).
Giov. 14:6: “…Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. In questi passi citati Gesù esprime e dimostra con dei termini spirituali la sua natura e opera.
Al contrario, la Chiesa Cattolica, al punto 1384 del suo Catechismo, dice: “Il Signore ci rivolge un invito pressante a riceverlo nel sacramento dell’Eucaristia: <In verità, in verità vi dico se non mangiate la Carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo Sangue, non avrete in voi la vita.> (Gv. 6,53)”.
Il ‘mangiare la carne, il pane e il bere il sangue, il vino’ non giovano a nulla invece (leggere Giov. 6:63). Le parole di Gesù, riguardo al ‘mangiare la sua carne e al bere il suo sangue’ (Giov. 6:53-56), devono essere prese in senso spirituale e non letterale (Giov. 6:63). ‘Mangiare la sua carne e bere il suo sangue’ vuol dire appropriarsi dell’opera redentrice di Cristo Gesù, credendo in Lui per essere salvati. Queste parole, in termini figurativi, hanno un senso spirituale e non hanno nulla a che vedere con quanto dicono i teologi cattolici, riguardo al fatto che, secondo loro, Gesù intendesse dire di mangiare letteralmente e realmente il suo corpo (pane), e bere il suo sangue (vino) per essere salvati, altrimenti si rimarrebbe nelle tenebre del peccato.
Essi ritengono che Gesù dicendo ai discepoli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, intendesse dire letteralmente di mangiare il pane e bere il vino consacrati, in quanto, sempre secondo questi, suo corpo, sua anima, sua divinità e suo sangue.
Al punto 1374 del Catechismo cattolico si legge: “Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa < quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti>. Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. <Tale presenza si dice ‘reale’ non per esclusione, quasi che le altre non siano ‘reali’, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e Uomo, tutt’intero si fa presente>”.
Il pane e il frutto della vigna (vino) sono solo dei simboli, la cui natura non cambia dopo che sono stati benedetti. Gesù era ancora vivo quando istituì la Santa Cena e quindi, anche per questo motivo, non potevano il suo corpo, la sua anima, il suo sangue e la sua divinità, essere nel pane e nel vino. Egli usò dei termini in senso spirituale; Matt. 26:27-29: “…Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati. Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.
Credendo alla teoria cattolica dovremmo asserire che in pratica Gesù mangiando il pane nella sera della Pasqua mangiò se stesso; mangiando il pane mangiò la sua anima, il suo corpo, il suo sangue, la sua divinità, bevendo il vino, bevette la sua anima, il suo corpo, il suo sangue, la sua divinità. Inutile ogni commento.
Se un ebreo (per non dire un cristiano della Chiesa primitiva, venuto dal giudaismo, quali furono gli apostoli e i discepoli del Signore) avesse avuto la sfortuna di comprendere la diavoleria cattolica che afferma che il vino e il pane erano anche il sangue letterale, fisico e reale di Gesù, rimarrebbe, senza ogni dubbio, solamente per questo, della giusta e certa convinzione, che trattasi di una menzogna conoscendo bene il dettame, di Dio, del non ‘mangiare il sangue’ di creature morte: Lev. 7:26-27; c. 17:10-14. Si noti come Gesù chiamò il contenuto del calice: “questo frutto della vigna”.
In sostanza, Gesù fa chiarimento che il contenuto del calice è, e rimane, il frutto della vigna (il vino) e non è cambiato, diventando il suo sangue, ma solo, simbolicamente, lo rappresenta.
Essendo l’istituzione della Santa Cena la circostanza anticipata del sacrificio sulla croce e il memoriale che in seguito l’avrebbe commemorato, Gesù se avesse bevuto, attraverso il vino, veramente, il suo sangue (per non parlare dell’anima, del corpo e della divinità), si sarebbe opposto al dettame divino del non mangiare sangue di creature morte, in quanto Egli, in quel momento, con quelle gesta, prefigurava e anticipava la sua stessa morte. Inoltre, se così fosse, Egli avrebbe indotto, col comandamento “fate questo in memoria di me”, alla trasgressione, dei suoi servitori, allo stesso dettame divino.
E’ utile aggiungere un’altra cosa: come può essere possibile che nella messa cattolica avvenga nuovamente il sacrificio di Gesù, se perfino quando Gesù la istituì (la Santa Cena), tale sacrificio si doveva ancora compiere? In realtà, la Santa Cena è un commemorare la sofferenza e il sacrificio compiuto da Cristo (una volta per sempre), finché Egli non sia venuto in gloria a regnare sulla terra ad instaurare il Regno di pace e giustizia, dove Egli stesso potrà nuovamente bere ‘il frutto della vigna’ (e non il suo sangue) con i suoi servitori salvati (Matt. 26:29).
Eucaristia significa: rendimento di grazie. Gesù era fisicamente presente mentre pronunciava le parole del passo di Matt. 26:26-29, così i discepoli non mangiarono, letteralmente, il suo corpo, né bevvero il suo sangue, cosa, quest’ultima, che dei giudei, quali erano i discepoli, non avrebbero mai potuto accettare: Lev. 7:26-27; Lev. 17:10-14. Proprio come il sangue del sacrificio ratificava l’antico patto mosaico sul monte Sinai (Esodo 24:6-8), così il sangue di Gesù, versato al Golgota, inaugurò il nuovo patto (Geremia 31:31-34; Ebrei 8:6-13; Luca 22:20; ecc.).
Questo nuovo patto non si riferisce ad un accordo tra due parti come il primo, ma a una decisione presa da una delle due parti, in questo caso, Dio. L’altra parte, ossia l’uomo non può alterare questa decisione, può solo accettarla o rifiutarla. Oltretutto, quando istituì la Santa Cena, che non è, come dice la Chiesa Cattolica, un rinnovamento mistico del sacrificio di Gesù, ma solo la commemorazione del suo sacrificio, Egli non era ancora morto. In pratica, non aveva ancora avuto luogo il suo sacrificio. Questo sarebbe avvenuto solo il giorno seguente.
Questo aiuta a far comprendere che nella Santa Cena cattolica non avviene alcun sacrificio ripetuto di Gesù, perché perfino Cristo stesso, quando vi partecipò alla prima e unica volta (all’istituzione di essa), non essendosi ancora sacrificato, poté vedere nelle sue gesta solo un memoriale simbolico di quello che la mattina seguente Egli avrebbe operato; oggi i veri credenti commemorano la grande opera del Signore partecipando alla Santa Cena, nel ricordo del sacrificio di Gesù.
Quindi, come potevano (o perché avrebbero dovuto) il pane e il vino essere il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù, se Egli era ancora in vita e, inoltre, il suo sacrificio, doveva ancora avere luogo? Come poteva Gesù, fisicamente vivente, essere tutto intero nel pane e nel vino? Cristo dicendo queste parole: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me…Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi” (Luca 22:19-20) non poteva simultaneamente essere tutto intero nel pane e nel vino (giacché era fisicamente presente e vivo, quando compiva tali gesta e proferiva tali parole; inoltre, ripeto, doveva ancora compiere il suo sacrificio). Quindi, ciò dimostra come Gesù Cristo voglia usare questi elementi (il pane e il vino) semplicemente per simboleggiare la sua Santa ed espiatrice dipartita, e non per ultimo, come un modo perfetto per entrare in comunione con Lui individualmente e collettivamente.
(La simbologia di tali elementi, ovvero del pane e del vino, viene, inoltre, a rendersi ancor più evidente in virtù del fatto che Cristo se ne serve per far vivere anticipatamente e spiritualmente, dentro la mente e i cuori degli apostoli, ancora prima che avvenga il suo sacrificio, la fede nella sua opera redentrice per mezzo della sua morte. Ciò spiegherebbe anche il motivo per il quale alla Santa Cena, circostanza nella quale essa venne istituita dalla presenza fisica di Gesù, quella sera non erano invitati altri discepoli del Signore, ma solo gli apostoli perché essi solo, in quanto vicini al Signore sin dagli inizi del suo ministero, e in quanto scelti direttamente e fisicamente da Cristo, potevano e dovevano essere, escluso Giuda, i testimoni oculari, anticipatori in fede e in Spirito, di quanto Gesù proferiva riguardo a sé e alla sua opera di sacrificio, e non per ultimo, dell’istituzione del sacramento, per poterlo poi, quest’ultimo, inserire come tale, nella Chiesa di Cristo. Del resto, sin dall’inizio del suo ministero con la scelta degli apostoli, Gesù riserva loro gli insegnamenti più diretti, le spiegazioni delle parabole, la sua continua presenza fisica, e altro ancora, destinandoli, con e per tutto ciò, ad essere in futuro le ‘fondamenta dottrinali’, in quanto testimoni oculari, nella Chiesa, poiché avrebbero per mezzo della potenza dello Spirito Santo tramandato letteralmente gli insegnamenti di Gesù una volta e per sempre).
Secondo le Sacre Scritture, ciò che rende santa questa commemorazione è la fede individuale e collettiva nell’opera divina di Cristo riguardo al peccato (con la conseguente presenza dello Spirito Santo) e non l’elemento in sé, questo non ha alcun valore al di fuori del contesto della Santa Cena, ma in esso può diventare e diventa ‘uno strumento, in fede, di comunicazione per entrare in comunione’, mediante l’opera dello Spirito Santo (e della fede), con l’opera attuata da Cristo in passato, ma ancora vivente nell’efficacia per salvare dalla condanna del peccato. Il Dio delle Sacre Scritture è un Dio di Spirito e, in quanto tale, i veri credenti debbono essere spirituali, non confidanti in qualche elemento o materia con la pretesa iniqua di essere consacrati, ma confidanti per fede con canali sempre spirituali: Giov. 4:23-24; Ebrei 9:9-10.
1 Corinzi 11:23-26: “<…Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>. Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: <Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrette, in memoria di me. Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga>”.
1 Corinzi 10:16-22 “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è forse la comunione con il corpo di Cristo? Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane….”.
1 Corinzi 11:20-21: “Quando poi vi riunite insieme, quello che fate non è mangiare la cena del Signore; poiché, al pasto comune, ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l’altro è ubriaco”.
Atti 20:7: “Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane…”.
Atti 2:42: “Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere”.
Atti 2:46: “E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme…”.
‘Mangiare la sua carne e bere il suo sangue’ significa nutrirsi per fede della sua Persona offerta in sacrificio sulla croce. “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue”; il nuovo patto istituito da Cristo è un patto sancito col sangue (come il vecchio patto), ovvero col suo sangue. Per sancire l’antico patto tra Dio ed Israele sul monte Sinai, dopo che Dio ebbe posto le sue condizioni ed il popolo le ebbe accettate, Mosè prese un bacino pieno del sangue del sacrificio e ne sparse una parte sull’altare stabilendo così che Dio era legato alla sua parte del patto; poi sparse il resto del sangue sul popolo legandolo al rispetto della sua parte del contratto o patto (Esodo 24:3-8).
In Atti 2:42 leggiamo che i primi cristiani perseveravano ‘nel rompere il pane’. Queste ultime parole si riferiscono ad un pasto ordinario o alla celebrazione della Cena del Signore? Forse ad entrambi. Ecco ciò che deve essersi verificato: in principio la comunione dei discepoli era così intima e sentita che spesso consumavano i pasti insieme. Mentre circondavano la tavola per chiedere la benedizione sul cibo a Dio, il ricordo dell’ultima cena di Cristo si riformulava nelle loro menti e la richiesta della benedizione per il cibo e il ringraziamento al Signore sfociava in un vero e proprio culto di adorazione al Cristo, cosicché a poco a poco sarebbe diventato difficile stabilire precisamente se i discepoli consumavano un pasto comune o partecipavano alla Santa Cena o ad entrambi. La vita e l’adorazione in quei tempi era ben altra cosa rispetto ad oggi.
Assai presto ‘il rompere il pane’ e la Santa Cena vennero distinti in modo preciso, cosicché l’ordine del culto divenne il seguente: in un giorno stabilito i cristiani si radunavano insieme per consumare un pasto nella comunione fraterna (il banchetto dell’Amore, o Agape) caratterizzato dalla gioia che scaturiva dall’amore fraterno; tutti portavano provviste per tale pasto e queste dovevano essere distribuite in parti uguali fra tutti i credenti.
In 1 Corinzi 11:20-22 Paolo biasima coloro che in tali circostanze si ubriacavano e quelli che mangiavano il loro cibo senza condividerlo con i poveri. Alla fine dell’Agape veniva celebrata la Santa Cena. Più tardi nel I sec. la Santa Cena fu separata dall’Agape e veniva celebrata la domenica mattina. Probabilmente l’Agape voleva ricordare la cena che precedette l’istituzione della Santa Cena, ovvero il pasto che vi fu tra Gesù e i suoi discepoli prima che Egli stesso istituisse il sacramento. Riflessione: mi chiedo se il sacramento è la Santa Cena, come possono esserlo anche il pane e il vino? Ciò è impossibile.
Sarebbe come dire, ad esempio, che il battesimo è un sacramento (e questo è vero), ma che lo è anche l’acqua o l’uomo che vi partecipa. Impossibile anche questo.
La Santa Cena è un sacramento istituito da Cristo (assieme al battesimo), il pane ed il vino sono gli elementi che i veri credenti usano assieme alla fede e alla comunione fraterna e dello Spirito Santo per entrare in comunione con Cristo e quindi con Dio. La Chiesa Cattolica ha finito per definire il pane ed il vino: ‘il sacramento’, ha dimenticato che questi sono solo elementi e che il sacramento è solo la Santa Cena, ovvero l’ordine di riunirsi nel ringraziamento e nel ricordo dell’opera salvifica di Cristo sulla croce per la redenzione dell’uomo.
1 Corinzi 11:23-26 (questo passo spiega bene quanto detto finora); gli elementi: il pane ed il vino, l’adunanza dei credenti, la fede e la comunione fraterna formulano, in definitiva il sacramento, della Santa Cena, senza dimenticare poi l’opera dello Spirito Santo. Tutte queste cose connesse fra di loro rientrano e danno vita al sacramento ordinato da Dio, come pure per il battesimo, l’acqua, la fede e l’uomo, che viene battezzato, sono gli elementi che formulano il sacramento. Nessuno di questi elementi è un sacramento, poiché esso prende esclusivamente vita dalla comunione fra di loro (fra questi elementi). Ovvero l’utilizzo di questi elementi per un unico fine dà vita alla realizzazione del sacramento e dell’ordine divino.
L’acqua non è il sacramento del battesimo, come non lo è neanche l’uomo, ma combinati tra di loro e per mezzo della fede questi formano il sacramento del battesimo. Così, il pane ed il vino non sono la Santa Cena, ma elementi che connessi con la comunione fraterna, la fede e l’opera dello Spirito Santo danno vita al sacramento della Santa Cena. Nessuno di questi elementi è un sacramento, ma la comunione e l’unione fra di loro lo è.
Al punto 1330 del Catechismo cattolico si legge: “…Si parla anche del Santissimo Sacramento, in questo costituisce il sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo”.
Ecco che la Chiesa Cattolica finisce per chiamare ‘Santissimo Sacramento’ gli elementi (il pane il vino) che invece sono e rimangono tali. I cattolici offrono un culto di adorazione a del semplice pane (ostia) e a del vino; ciò è idolatria. Il clero e il popolo cattolico chiamano o denominano l’ostia (e il vino) come il Santissimo Sacramento, l’adorano, vi si prostrano davanti come se Dio fosse incarnato davanti a loro. Questa è pura idolatria e idiozia.
Del resto, secondo le Sacre Scritture, Dio è Spirito e Verità e in spirito e verità va adorato: Giov. 4:23-24. Il ‘Santissimo Sacramento, invece, non è l’ostia (o il vino), ma la celebrazione della Santa Cena. Il ‘Santissimo Sacramento’ è l’unione, l’insieme degli elementi coinvolti in comunione tra di loro. Secondo le Scritture, Cristo Gesù è asceso al cielo col suo corpo glorificato (Marco 16:19; Luca 24:51; Atti 1:9-11) e lì vi deve rimanere (Atti 3:21) fino al giorno in cui dovrà tornare fisicamente.
Egli non può manifestarsi fisicamente (ma in Spirito sì) sulla terra (Marco 13:21-23) se non quando verrà in gloria e sarà visibile a tutti (Matt. 24:27; Ap. 19:11-21). Quindi, Egli fisicamente non può essere nell’ostia, o meglio, l’ostia non può essere il corpo di Gesù, ciò (oltre a quanto detto finora) va contro l’insegnamento della Bibbia e di quanto viene detto riguardo alla Persona visibile, fisica, e gloriosa di Gesù che adesso è in cielo alla destra del Padre; Egli tramite lo Spirito Santo governa la sua Chiesa universale sulla terra in modo invisibile e spirituale e non fisico come invece avverrà dalla sua venuta gloriosa in poi.
Gesù stesso avvertì i suoi: Matt. 24:23-27 “…eccolo è nelle stanze interne…” di non andare dove si sarebbe sostenuto che Egli fosse fisicamente presente, ad esempio “nelle stanze interne” (un esempio lo sono i luoghi di culto della Chiesa Cattolica durante la messa), perché Egli verrà fisicamente solo nel suo giorno glorioso e non in miriadi di posti e momenti prima (“eccolo è nelle stanze interne”). Gesù usa, anche in altri casi, parole riferite a se stesso in senso allegorico: ‘Io sono la porta’,’Io sono la vite’, ecc.. Si dovrebbe forse prendere alla lettera quanto Gesù dice in taluni casi? Certo che no! Egli non è una ‘porta’, o un ‘portone’, o una ‘vite’, ma le parole ‘porta’ e ‘vite’, Gesù le usa in senso allegorico. Così è anche per le parole usate riguardo agli elementi: pane e vino. Elementi questi rappresentativi nella Santa Cena del corpo e del sangue di Gesù (non sono però il corpo, la divinità, l’anima e il sangue di Gesù), ovvero del suo sacrificio unico e completo offerto sulla croce una volta per sempre.
Il dogma della Transustanziazione fu decretato da Papa Innocenzo III, nell’anno 1215.
Nel 1220 l’adorazione dell’ostia fu sancita da Papa Onorio III, e nel 1414, al Concilio di Costanza, la Chiesa Romana proibì il calice ai fedeli. Per secoli la Santa Cena fu celebrata dalla Chiesa Cattolica in ambedue le specie (pane e vino); così è celebrata tutt’ora dalla Chiesa Ortodossa Greca. Sulla Chiesa Romana dunque grava anche la colpa e il sacrilegio di aver mutilato ed alterato il sacramento della Santa Cena e di aver negato il calice ai fedeli fin dall’anno 1414. In conclusione, per tanti altri motivi, oltre a questo, la Santa Cena che istituì Gesù non è riscontrabile nella Chiesa Romana.
Nella Chiesa Romana si è voluto togliere il calice del vino al popolo, però Gesù disse: “bevetene tutti” (Cristo voleva che tutti partecipassero alla commemorazione della sua morte, non come un atto magico in sé, ma come espressione esteriore dell’amore e della fede interiori nei confronti della sua Persona, del suo sacrificio e del suo ritorno). Che cosa ha più valore: la Parola di Cristo, il Signore, o il capriccio della Chiesa Romana? Solo il sacerdote beve il vino dal calice, il popolo si accontenta di prendere solo l’ostia. Il vero scopo di Cristo era quello di ravvivare la fede in Lui, attraverso la celebrazione della Santa Cena come un occasione particolare dove i suoi figlioli sarebbero stati maggiormente uniti nel ricordo dell’opera sua salvifica, alimentando così in loro una fede sempre più viva nella sua opera e nel suo ritorno; quindi uno degli scopi della Cena del Signore è la collettività, la comunione fraterna stretta nell’ardore e nell’amore per il loro Re e Salvatore.
Il sacrificio cattolico della messa equivale a ‘crocifiggere’ e a ‘far sacrificare’ Gesù continuamente. È far ‘ripetere sempre lo stesso sacrificio a Gesù’, il quale, invece, si è offerto una volta soltanto e per sempre; oggi bisogna e si deve solo commemorare tale evento: “fate questo in memoria di me” Luca 22:19; 1 Corinzi 11:24-26.
Ecco quanto dice il Catechismo di Pio X riguardo alla Santa Cena: “<La Santa messa è il sacrificio del corpo e del sangue di Gesù Cristo, che sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio sull’altare, in memoria e rinnovazione del sacrificio della croce>. <Tra il sacrificio della croce e quello della messa c’è questa differenza, che Gesù Cristo sulla croce si sacrificò dando volontariamente il proprio sangue, e meritò ogni grazia per noi; invece sull’altare senza spargere sangue, si sacrifica e si annienta misticamente per il ministero del sacerdote, e ci applica i meriti del sacrificio della croce >”.
È fuori di dubbio che la Chiesa Romana sia in completo errore. Perché quest’annientamento mistico, ripetuto, nei secoli, miriadi e miriadi di volte in tutto il mondo, per applicare ancora i meriti della croce? Forse Cristo non riconciliò completamente l’umanità peccatrice con il Padre, con il suo Unico e Santo sacrificio sulla croce? Questo continuo ‘sacrificare’ Gesù assomiglia nei modi e nei tempi molto alle usanze riguardo al sacrificio continuo dell’antico patto. La riconciliazione, invece, con la morte di Gesù è stata totale, e i sacrifici nel loro scopo dell’antico patto non sussistono più: Colossesi 1:19-20. Unicità del sacrificio di Gesù: Ebrei 10:1; Ebrei 9:25; Ebrei 7:27.
La celebrazione della Santa Cena serve a commemorare il sacrificio unico di Gesù, non a farne dei nuovi, ovvero ‘a far sacrificare’ Gesù nuovamente anche se pur in modo mistico.
Al punto 1088 del Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: “…È presente (Cristo) nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, <egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti>, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche…”.
Al punto 1365 si legge: “In quanto memoriale della pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia si manifesta nelle parole stesse dell’istituzione: <Questo è il mio Corpo che è dato per voi> e: <Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue che viene versato per voi> (Luca 22,19-20). Nell’Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha <versato per molti, in remissione dei peccati> (Matt. 26,28)”.
Al punto 1393 si legge: “…<Ogni volta che lo riceviamo, annunziamo la morte del Signore. Se annunziamo la morte, annunziamo la remissione dei peccati. Se, ogni volta che il suo sangue viene sparso, viene sparso per la remissione dei peccati, devo riceverlo sempre, perché sempre mi rimetta i peccati. Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina>”.
Questo vuol dire ‘crocifiggere e far sacrificare’ Cristo miriadi di volte ripetutamente nel tempo. È ‘far ripetere sempre lo stesso sacrificio’ a Gesù, il quale, invece, si è offerto una volta soltanto e per sempre; oggi bisogna solo commemorare tale evento “fate questo in memoria di me”, in memoria del suo sacrificio, commemorando, appunto, solo tale evento.
La pretesa della ripetizione del sacrificio di Cristo sul calvario, nella messa, nella quale Gesù discenderebbe dal cielo nell’ostia (e nel vino), sarebbe crocifisso di nuovo (misticamente) e poi mangiato vivo dal prete e dal popolo ogni giorno, è ripugnante al senso comune ed è contrario all’insegnamento della Bibbia e alle parole di Gesù.
L’unico mistero è questo: che vi siano ancora delle persone che ci credono.
Chiedo ai teologi cattolici: potete provare che la messa sia un sacrificio e la ripetizione giornaliera del sacrificio di Cristo sulla croce? (Ebrei 7:27; c. 9:25-28; c. 10:10-14,18).
Potete provare che la messa possa dare riposo o suffragio alle anime dei morti che si suppongono tormentate nelle fiamme del purgatorio? (Leggere Luca 23:43 e Ebrei 10:14: “Infatti con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati”).
Perfino la Pasqua ebraica era solo una commemorazione in ricordo del passaggio degli israeliti dall’Egitto nel deserto: “Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione e lo celebrerete come una festa in onore del SIGNORE…” Esodo 12:14. La Santa Cena commemora, invece, il sacrificio unico di Cristo finché Egli venga.
La Chiesa Cattolica, con il termine ‘Transustanziazione’, sostiene che Gesù è realmente presente nell’ostia e nel vino, in corpo, sangue, anima e divinità. Ciò è assolutamente falso per i motivi che abbiamo detto prima. Gesù era ancora in vita (era fisicamente presente, con la sua anima, il suo corpo, il suo sangue e la sua divinità) quando istituì la Santa Cena (inoltre, doveva ancora compiersi il suo sacrificio sulla croce) e non poté essere nel pane e nel vino tutto intero come, invece, affermano i teologi cattolici.
Nel 1220, Papa Onorio III sancì l’adorazione dell’ostia; così la Chiesa Romana adora un Dio fatto dalle mani di uomini. Gesù insegna di adorare Dio in spirito e verità perché Egli è Spirito: Giov. 4:23-24. La messa come sacrificio fu sviluppata gradualmente e la frequenza ad essa resa obbligatoria nel XI secolo.
La Chiesa Cattolica per ‘sacrificio’ intende la mistica immolazione di Gesù Cristo nella messa, nella quale il sacerdote offre a Dio il corpo e il sangue di Gesù sotto le specie del pane e del vino. Il vangelo insegna che Cristo si offrì in sacrificio completamente ed unicamente una sola volta, e ciò non può essere in alcun modo ripetuto, ma solo commemorato nella Santa Cena: Ebrei 7:27; Ebrei 9:25-28; Ebrei 10:10-14,18.
La dottrina cattolica sostiene che il sacerdote ‘crei’ ogni giorno, nella messa con il sacramento dell’eucaristia, il Cristo tutto intero nell’ostia e nel vino (con il suo corpo, la sua anima, il suo sangue e la sua divinità tutta) e poi lo mangia e lo beve in presenza del popolo durante la messa. Ciò è un’assurdità pazzesca!
Gesù, secondo le Sacre Scritture, è spiritualmente presente nella funzione della vera celebrazione della Santa Cena, non fisicamente, ma in Spirito e non comunque fisicamente nel pane e nel vino, pronto per essere mangiato e bevuto dopo essere stato nuovamente ‘in modo mistico’ sacrificato per i peccati da un sacerdote cattolico. Il sacrificio di Gesù è avvenuto, invece, una sola volta e per sempre sulla croce.
La Santa Cena serve per commemorare tale avvenimento non a riprodurlo. 1 Corinzi 11:23-26: “…Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga”. Annunciare, commemorare, non riprodurre il sacrificio: v. 24 “…fate questo in memoria di me”; v. 25 “…fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me”; Luca 22:19: “…fate questo in memoria di me”.
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