Legge e Diritto – Ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto).

Deduzioni in ordine a eventuale ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (con sede a Strasburgo), per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto), ai sensi dell’art. 6, 13, e 41, della CEDU.

Deduzioni in ordine a eventuale ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo (con sede a Strasburgo), per l'irragionevole durata del processo (legge Pinto), ai sensi dell'art. 6, 13, e 41, della CEDU. Stefano Ligorio, Articoli su 'Legge e Diritto' e 'brevi note su legge e diritto' di Stefano Ligorio. Cassazione, giurisprudenza, Corte Suprema, codice civile, codice di procedura civile, codice penale, codice di procedura penale, il risarcimento nel processo civile, il risarcimento del danno, legge, diritto, giustizia, processo civile, processo penale, appello, giudice,
Deduzioni in ordine a eventuale ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (con sede a Strasburgo), per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto), ai sensi dell’art. 6, 13, e 41, della CEDU.

Nel presente articolo ho voluto redigere tutta una serie di deduzioni utili per chi dovesse formulare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (con sede a Strasburgo) in ordine all’eventuale danno patito dall’irragionevole durata dei processi.

Deduzioni di rilievo, per chi ne avesse necessità, che trattano particolarmente il merito delle attuali disposizioni previste dall’iniqua legge di Stabilità 2016 -Legge 28/12/2015, n. 208, co. 777, lettera e)-.

La legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto), ha introdotto un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo.

Lo scopo di tale previsione è di tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e dell’art. 111 della nostra Costituzione (il giusto processo).

Indipendentemente dal grado in cui si concludono, il procedimento disposto dalla legge Pinto si applica alle controversie civili, ai procedimenti penali, ai procedimenti amministrativi, alle procedure fallimentari, e ai procedimenti tributari.

Ai sensi dell’art. 3, co. 1, L. 24/03/2001, n. 89, la competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello (o da un diverso magistrato designato), nel cui distretto ha sede il giudice davanti al quale si è svolto il primo grado del processo, e la pronuncia sulla domanda di equa riparazione deve avvenire entro il termine ordinatorio di 30 giorni dal deposito del ricorso.

La soglia della durata ragionevole del processo prevista dall’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, e dalla unanime giurisprudenza di legittimità, è di 3 anni per il giudizio di I grado, di 2 anni per quello di II Grado, e di 1 anno per quello di III grado (per un totale di anni 6, ma solo se esperiti tutti e tre i gradi di giudizio).

La legge di Stabilità 2016 (Legge 28/12/2015, n. 208: “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” al co. 777 e alla lettera e), iniqua sul punto modificato, ha poi ridotto la soglia minima e massima entro cui potrà essere liquidato l’indennizzo: il riformulato art. 2-bis, comma 1, ha infatti indicato nuovi parametri di liquidazione dell’indennizzo fissando un range compreso tra euro 400,00 ed euro 800,00 per anno o frazione di anno superiore ai sei mesi di eccedenza sulla durata ragionevole del processo (mentre, in precedenza il range era fissato tra euro 500,00 ed euro 1500,00), prevedendo tuttavia correttivi in aumento per i casi in cui il ritardo si sia eccessivamente prolungato, potendo la somma liquidata essere in tali casi aumentata sino al 20% per gli anni successivi al terzo e sino al 40% per gli anni successivi al settimo.

L’ultimo comma dell’art. 2 bis prevede, peraltro, che, anche in deroga agli estremi dell’anzidetta <forbice>, <la misura dell’indennizzo non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice>, facendo emergere che con l’eventuale ulteriore indennizzo del danno patrimoniale unito a quello non patrimoniale la misura dell’indennizzo può, in deroga all’anzidetta forbice, essere pari al valore della causa o del diritto accertato dal Giudice, ma non superiore.

Questa nuova legge italiana del 28/12/2015 -n. 208, co. 777, lettera e)-, ha reso irrisorio il risarcimento per equa riparazione e inutile il ricorso completo alle vie interne e nazionali, in quanto le ivi disposizioni impongono un risarcimento massimo di euro 800,00 per ogni anno di eccedenza sulla durata ragionevole del processo (in ogni caso quasi mai concessi nel loro valore massimo), con irrisori aumenti, mai attuati “fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo”, ormai ben lontano dalle direttive, in merito, della Corte Europea, che prevedono euro 1.000,00 – 2.000,00 per ogni anno.

Il diritto interno italiano, attualmente, non permette che in modo incompleto di riparare alle conseguenze della violazione in oggetto, per cui, ai sensi dell’art. 41 della Convezione, la Corte deve accordare, agli eventuali ricorrenti, in ogni caso, un’equa riparazione di quanto patito dallo Stato italiano.

Le disposizioni dell’articolo 35 della Convenzione prescrivono l’esaurimento delle vie interne solo nel caso di ricorsi relativi alla violazioni incriminate che siano nello stesso tempo accessibili e adeguati, ovvero davvero efficaci secondo la giurisprudenza della Corte europea.

Essi devono esistere con un grado sufficiente di certezza, e non soltanto in teoria, ma anche in pratica, difatti senza ciò manca la loro effettività e l’accessibilità richieste (sentenza Akdivar, p. 1210, § 66, e Dalia contro Francia del 19-02-1988; Recueil-I 1998, pp. 87-88, § 38; Vučković e altri contro Serbia -eccezione preliminare- [GC], n. 17153/11 e altri 29 ricorsi, § 71, 25 marzo 2014; Vernillo contro Francia, sentenza del 20-02-1991, seria A n.198, pp. 11-12, § 27).

Secondo la Corte, per essere ritenuto effettivo un ricorso deve poter rimediare direttamente alla situazione denunciata e presentare ragionevoli prospettive di successo (Sejdovic contro Italia [GC], n. 56581/00, § 46, CEDU 2006 II; Vučković e altri, sopra citata, § 74 e Balogh contro Ungheria, n. 47940/99, § 30, 20-07-2004).

I ricorsi sono ‘effettivi’, nel senso dell’art. 13 della Convenzione, quando permettono di fornire all’interessato una riparazione adeguata per i ritardi subiti (Surmeli contro Germania [GC], n. 75529/01, § 99, CEDU 2006 VII; Vassilios Athanasiou e altri contro Grecia, n. 50973/08, § 54, 21-12-2010).

La pronuncia di ricevibilità della Corte di Strasburgo (Scordino contro Italia -Grande camera, sentenza del 29-03-2006, ricorso n. 36813/97-) statuisce che i ricorsi offerti dal sistema giudiziario dello Stato devono essere effettivi per la riparazione della violazione dedotta in caso contrario è ammissibile il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo senza previo esaurimento delle vie di ricorso interne, in quanto il principio di sussidiarietà non riveste carattere assoluto e deve essere applicato senza eccessivi formalismi in relazione al caso concreto”.

Alcune circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’utilizzare le vie di ricorso interne, e permettergli di adire immediatamente la Corte Europea dei Diritti dell’uomo, qualora sia provata una pratica amministrativa, consistente nella ripetizione di atti contrari alla Convenzione, di modo che tali procedure siano vane e non effettive”.

Inoltre, queste tipologie di doglianze sono considerate questioni di fatto che esulano la competenza della Corte di Cassazione, se chiamata a decidere nell’esame, in quanto la Cassazione non può violare la legge dello Stato.

La Corte di Strasburgo sostiene che, secondo “i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”, certe circostanze particolari possono dispensare il ricorrente dall’obbligo di spendere tutte le vie di ricorso interne che il sistema giudiziario nazionale gli offre (sentenza Selmouni § 75).

Questa regola si applica nei casi ove è provata una pratica amministrativa consistente nella reiterazione di atti interdetti dalla Convenzione e la tolleranza dello Stato renda la procedura di tutela vana o non effettiva.

La Corte di Strasburgo osserva che il disposto dell’art. 35 della CEDU deve applicarsi con una certa elasticità e senza eccessivi formalismi: è necessaria la valutazione delle circostanze del caso concreto, inclusa la situazione personale del ricorrente.

La Corte ricorda (§ 42 ss.) che la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni di cui all’art. 35 della Convenzione EDU, espressione del principio di sussidiarietà, si applica soltanto se il ricorso interno risulti disponibile e adeguato.

Questa disposizione esige, dunque, un ricorso interno che permetta di trattare congruamente una “doglianza difendibile” fondata sulla Convenzione e di offrire la riparazione appropriata, anche se gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione, quanto alla maniera di conformarsi agli obblighi che loro impone questa disposizione.

CEDU, sentenza 25-02-2016, Olivieri e altri contro Italia: “40. La Corte rammenta che il principio di sussidiarietà non significa dover rinunciare a qualsiasi controllo sul risultato ottenuto dal fatto di aver utilizzato la via di ricorso interna, a pena di svuotare di ogni sostanza i diritti sanciti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. La Convenzione ha lo scopo di proteggere diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Principe Hans-Adam II di Liechtenstein contro Germania [GC], n. 42527/98, § 45, CEDU, 2001-VIII)”.

In molti casi l’unica sanzione per alcuni ricorrenti che non avevano esperito tutti i rimedi interni è stata la parziale ricevibilità del ricorso alla CEDU decurtando parte della somma dell’equa soddisfazione riconosciuta.

Le sentenze CEDU, 27-05-2003, Santinelli contro Italia; 27-05-2003 Rivera e Bonaventura contro Italia; 18-09-2003, Calandra contro Italia; 18-09-2003, Farina contro Italia, hanno dichiarato parzialmente ricevibili i ricorsi sul punto in mancanza di equità della procedura.

Altre istanze sono state dichiarate parzialmente irricevibili dalla Corte di Strasburgo per l’omesso anteriore esperimento del ricorso davanti alla corti d’appello competenti ai sensi della legge Pinto: CEDU, 10-04-2003, Bigotti contro Italia; 06-05-2003, Borghesi contro Italia; 15-05-2003, De Pascale contro Italia; 22-05-2003, Landoli contro Italia; 22-05-2003, Fiorello e altri contro Italia; 05-06-2003, Scozzari e altri contro Italia.

La giurisprudenza della Corte Europea afferma che la protezione offerta dall’articolo 13 della CEDU non giunge fino ad esigere un ricorso con il quale si possano denunciare davanti a un’autorità nazionale le leggi di uno Stato contraente come contrarie, in quanto tali alla Convenzione (CEDU, 26-11-2000, Kudla contro Polonia, in Riv. Int. Dir. Uomo, 2001, 277).

Art. 6, CEDU: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta…”.

Art. 13, CEDU: “Ogni persona, i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

Come su esposto, la nuova legge italiana del 28-12-2015, n. 208, co. 777, lettera e) è iniqua e viola i diritti umani della Carta europea e le disposizioni della Corte di Strasburgo, in quanto ha fortemente ridotto gli importi per l’indennizzo che attualmente sono stabiliti in un massimo di euro 800,00 (in precedenza, come predetto, il massimo era di euro 1500,00), per ogni anno (somma che del resto non viene quasi mai riconosciuta nei suoi qui citati valori massimi).

Tutto ciò rende inutile il ricorso completo alla vie interne nazionali, in quanto è impossibile impossibile avere quanto di giustizia come da disposizioni della Corte di Strasburgo che prevedono un indennizzo pari a un minimo di euro 1.000,00 – fino ad un massimo che, generalmente, arriva a euro 2.000,00 annuo.

Art. 41 CEDU: “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

Attualmente, appunto, il diritto interno dello Stato italiano non permette che in modo incompleto di riparare alla conseguenze della violazione in oggetto, fatto questo che rende del tutto incongruo e inutile il completamento di tutte le vie di ricorso interne, l’esperimento delle quali, del resto, potrebbero esporre, il ricorrente, in caso di sua soccombenza, al pagamento finanche di spese legali.

A fronte di ciò si ritiene che, seppur non esperite tutte le vie interne in virtù delle impedenti disposizioni della citata iniqua legge di Stabilità del 2016, si possa ricorrere alla Corte di Strasburgo con buone probabilità di vedersi riconosciuti quanto di diritto.

Sarà di estrema importanza, in tal caso, esporre le deduzioni di rilievo come qui espresse e argomentate.

Il sottoscritto ha egli stesso presentato, a titolo personale (ovvero senza l’ausilio di un legale, il quale nella fase preliminare non è necessario, ma è fortemente consigliato per chi non ha competenza in materia), un ricorso alla CEDU, pur non avendo esperito tutte le vie di ricorso nazionali interne, e confida nel suo accoglimento, anche solo parziale…

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Leggi anche: Il risarcimento per l’irragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto).

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Il libro di Stefano Ligorio: ‘IL RISARCIMENTO NEL PROCESSO CIVILE -errori da evitare, e rimedi esperibili- (Guida Pratica alla luce del Codice Civile, del Codice di Procedura Civile, e della Giurisprudenza in materia)’.

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N.B. Stefano Ligorio è anche autore di un libro dal titolo: ‘IL RISARCIMENTO NEL PROCESSO CIVILE -errori da evitare, e rimedi esperibili– (Guida Pratica alla luce del Codice Civile, del Codice di Procedura Civile, e della Giurisprudenza in materia)’.

Stefano Ligorio

3 pensieri riguardo “Legge e Diritto – Ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto).

  1. io ho pendente presso la Corte di Strasburgo un ricorso da gennaio 2017, e seppur dichiarato ricevibile, a tuttoggi non sono stati ancora compiuti i passi di informazione della controparte (lo stato italiano)…da come leggo urbi et orbi i tempi della CEDU si stanno allungando drammaticamente. Sperem.

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    1. Io ne ho uno dal 2018, purtroppo la verità è questa: la Corte di Strasburgo che, appunto, giudica, tra le molte questioni, anche quelle relative alla irragionevole durata dei processi si dimostra, molto spesso, ancora più ‘lenta’ di chi, in tal senso, è sottoposto al suo giudizio…
      Evidente assurdità…
      Approfitto per darti gli auguri di un buon anno.

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