In tema di falso ideologico (art. 479 c.p.), falso materiale (art. 476 c.p.), e soppressione e distruzione di atti veri (art. 490 c.p.), i registri nosologici (ambulatoriali) sono equiparati alla cartella clinica, e alla sua valenza medico legale.

Come da unanime giurisprudenza si ha falsità materiale quando il documento pubblico sia stato alterato dopo la sua formazione, mentre si ha falsità ideologica quando nel documento pubblico sono contenute attestazioni o dichiarazioni, non veritiere, di fatti non accaduti nella realtà, o al contrario non siano contenute, per omissione, attestazioni o dichiarazioni su fatti realmente accaduti nella realtà e di cui si era -per obbligo- tenuti a redigere.
I registri nosologici (definizione con la quale vengono identificati anche i registri in dotazione a ciascun ambulatorio ospedaliero per certificare le prestazioni ivi effettuate ai pazienti), sono atti pubblici che fanno piena prova fino a querela di falso, in quanto equiparati alla cartella clinica, e alla sua valenza medico legale:
R.D. del 30-09-1938, n. 1631, art. 24: <Il Primario…cura, sotto la propria responsabilità, la regolare tenuta delle cartelle cliniche e dei registri nosologici>;
D.P.R. 128/69, art. 7: <Il Primario…è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione, fino alla consegna all’archivio centrale>.
La cartella clinica (come anche i diari clinici ambulatoriali), di un paziente, redatta da un medico di un ospedale pubblico costituisce un atto pubblico a tutti gli effetti, in quanto attestante il decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti del paziente trattato (i fatti, per l’appunto, devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi), per cui ogni ivi alterazione o modifica configura il reato di falso in atto pubblico.
L’elemento soggettivo del reato in oggetto si rileva nel mero dolo generico.
Difatti, come da giurisprudenza, ciò che un pubblico ufficiale (sia esso medico o infermiere a ciò addetto) trascrive in un registro, diario clinico, o cartella clinica di un paziente, in relazione ai trattamenti ivi svolti in sua presenza, sia essi farmacologici, sia di tipo chirurgico, è atto pubblico che fa piena prova fino a querela di falso.
Limitatamente alla sua provenienza dal pubblico ufficiale ed ai fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza, o essere stati da lui compiuti, la giurisprudenza riconosce alla cartella clinica o ai diari clinici una efficacia probatoria fino ad impugnazione di falso: Cass. 24 ottobre 1980; Art. 2700 c.c. <L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti>-), ciò che, invece, può essere giuridicamente diversamente classificato sono le ivi trascrizioni in merito a valutazioni del medico (anche relative a diagnosi), in quanto proprio perché attinenti alla sfera personale del professionista non possono, dunque, fare piena prova fino a querela di falso (Cass. 27-09-1999 n.10695).
Orbene, sia che si tratti di registri ambulatoriali ospedalieri (registri nosologici), sia che si tratti di cartella clinica, ciò che rende un atto pubblico che fa piena prova fino a querela di falso è il documento di pubblica utilità e l’ivi contenuto di rappresentanza in relazione ai trattamenti svolti su un paziente in presenza del pubblico ufficiale (medico o infermiere), non attinenti a personali valutazioni o opinioni del medico.
Cass. Pen. Sez. VI, n.15953 del 26-04-2012: <Agli effetti della tutela apprestata dall’art. 476 c.p., il registro tenuto presso il reparto di pronto soccorso dei pubblici ospedali rientra fra gli atti che fanno prova fino a querela di falso>.
Cass. Pen. Sez. V, n. 35167 del 30-09-2005: <Integra il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 476 c.p.) la condotta del medico ospedaliero che altera, mediante cancellazione con correttore e riscrittura, la cartella clinica in alcune parti…>.
Cass. Pen. Sez. V, n. 1098 del 27-01-1998: <La cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico è caratterizzata dalla produttività di effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, nonché dalla documentazione di attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità: trattasi di atto pubblico che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi. Ne deriva che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali; né rileva l’intento che muove l’agente, atteso che le fattispecie delineate in materia dal vigente codice sono connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico>.
Cass. Pen. Sez. V, n. 8411 del 28-07-1992:<In tema di falso in atto pubblico, l’elemento soggettivo del reato si esaurisce nella coscienza e volontà di immutare il vero, senza che occorra alcun fine speciale. Non è, pertanto, richiesto il proposito di arrecare ad altri un danno o di procurare a sé o ad altri un vantaggio, onde il delitto è perfetto anche quando la falsità sia compiuta non solo senza l’intenzione di arrecare un danno o procurare un vantaggio, ma anche con la convinzione di non produrre l’uno o di non determinare l’altro>.
Cass. pen. Sez. V, n. 12242 del 21-11-1980: <L’interesse giuridico alla tutela della pubblica fede è leso anche nei casi in cui la falsità riguardi i cosiddetti atti interni, e cioè quegli atti del pubblico ufficiale destinati ad assumere funzione probatoria nei confronti della sola pubblica amministrazione. Il requisito della pubblicità di un atto, agli effetti penali, si riferisce infatti all’organo che l’ha formato, e non alle sue relazioni con il pubblico>.
Cass. pen. Sez. V, n. 4421 del 11-04-1988: <Deve considerarsi atto pubblico il Registro ospedaliero degli interventi operatori per la sua idoneità a documentare fatti inerenti all’attività dell’ufficio pubblico cui gli autori sono addetti; l’eventuale alterazione dello stesso con aggiunta di nomi o di altri dati costituisce pertanto falsità materiale ai sensi dell’art. 476 c.p.>.
N.B. Si precisa che per legge, nel Sistema Sanitario nazionale italiano (co. 15 dell’art. 3 del D.Lgs 124/1998), e per regolamenti regionali, una volta registrata e prenotata una prestazione al CUP, qualunque essa sia, se in seguito la stessa non venga effettuata per colpa del paziente, ovvero, se dallo stesso non sia stata disdetta nei tempi e nei modi previsti, o finanche lo stesso non ritira l’eventuale esame o referto (ove vi siano), viene sanzionato con una multa. E’, dunque, facile rilevare, oltre alle inerenti e chiare questioni giuridiche in merito alla valenza pubblica di questi registri/diari clinici ambulatoriali, quanto questi, appunto, assumano anche una precisa valenza, oltre che anche in ordine sanitario, anche di tipo amministrativo/interno, ove, in merito a quest’ultimo aspetto l’assenza (sia per omissione del sanitario addetto alla trascrizione dei trattamenti, sia per mancata esecuzione della prestazione stessa per non presentazione del paziente senza preventiva congrua disdetta) della trascrizione della prestazione registrata e prenotata, da un paziente, al CUP avrebbe come naturale conseguenza -previo controllo interno da chi di competenza- una multa, a carico del paziente, per mancata esecuzione, senza preventiva disdetta, della (o delle) prestazione regolarmente prenotata, in quanto ciò avverrebbe anche a danno di altri pazienti, i quali, avrebbero potuto beneficiare di ‘una prestazione anticipata’.
Tuttavia, anche nell’ipotesi che questi registri/diari clinici ambulatoriali ospedalieri fossero diversamente classificabili (a fronte, appunto, di una giurisprudenza non del tutto unanime in tal senso) da atti pubblici facenti fede fino a querela di falso, dovranno, comunque, essere sempre ritenuti atti pubblici (seppur non fidefacenti), difatti l’espressione “nell’esercizio delle sue funzioni” (art. 476 c.p.) deve intendersi in senso ampio, ovvero rileva qualsiasi collegamento della condotta con la sfera di competenza funzionale del pubblico ufficiale.
Quindi vi rientrano anche gli atti cosiddetti ‘interni’:
Cass. pen. n. 14486/2011: <Rientrano nella nozione di atto pubblico ai fini dell’integrazione del reato di falso ideologico in atto pubblico, anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché quelli che si collocano in una complessa sequela procedimentale -conforme o meno allo schema tipico- ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi>.
Cass. pen. n. 43512/2010: <Il reato di falso ideologico in atto pubblico è configurabile anche in relazione agli atti ‘interni‘, a condizione che gli stessi siano tipici o si inseriscano in un ‘iter’ procedimentale prodromico all’adozione di un atto finale destinato ad assumere valenza probatoria di quanto in esso esplicitamente od implicitamente attestato>.
Cass. pen. n. 6004/1996: <Per la corretta individuazione della nozione di atto pubblico ai fine della configurabilità del reato di falso ideologico di cui all’art. 479 c.p. non ha rilevanza la distinzione tra atti per uso interno e atti destinati a spiegare efficacia nei confronti del pubblico, perché anche i primi possono avere valenza probatoria in relazione all’attività compiuta dal pubblico ufficiale, la quale si pone come necessario passaggio di un più complesso es articolato iter amministrativo>.
Cass. pen. n. 11747/1992: <Ai fini del delitto di cui all’art. 479 c.p., è atto pubblico ogni documento redatto dal P.U. per uno scopo inerente la sua funzione, purché dotato, nel suo intrinseco contenuto, della capacità rappresentativa dell’attività svolta o percepita. Non rileva che il documento contenente la falsa attestazione non sia previsto da una espressa norma che ne indichi i requisiti di forma, né che esso debba essere riprodotto in atti diversi e successivi>.
Cass. pen. n. 7249/1992: <…dà luogo al sorgere di atti pubblici, in quanto redatti dal pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, i quali…sono diretti a documentare l’attività direttamente compiuta dal pubblico ufficiale…a nulla rilevando che si tratti di atti la cui efficacia probatoria si esaurisca nell’ambito della stessa amministrazione (cosiddetto atto interno)>.
Nelle circostanze in oggetto è sempre essenziale una perizia grafologica volta ad accertare se si è di fronte a un ‘falso ideologico‘ o a un ‘falso materiale‘ (artt. 476 co. I e co. II c.p.) e/o a una ‘soppressione e distruzione di atti veri‘ (art. 490 c.p.).
Tenendo presente che, quanto alla prova, il dolo, quale fenomeno soggettivo, si manifesta attraverso segni esteriori, sicché esso resta appurabile anche, o solo, attraverso quelle azioni -dell’agente- dotate di un valore ‘sintomatico’.
Assume anche rilievo (talvolta perfino decisivo), ai fini della prova, l’eventuale scopo perseguito o meno dall’agente, di modo che l’indagine -riservata al giudice di merito- esige un’analisi specifica in ogni singolo caso dovendo rilevarsi anche le circostanze concomitanti (Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 1986, n. 1358).
a- Nella circostanza di falsità per omissione, nell’ipotesi di sussistenza di solo atto pubblico, ovvero non fidefacente, si configurerà il reato di “falsità ideologica -per omissione- commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici non fidefacenti” di cui all’art. 479 c.p. con le pene previste dall’art. 476 co. I c.p., mentre nell’ipotesi di sussistenza di atto pubblico fidefacente, si configurerà il reato di “falsità ideologica -per omissione- commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici che fanno fede fino a querela di falso” di cui all’art. 479 c.p. con le pene previste all’art. 476 co. II c.p.
Cass. pen. n. 5635/2015: “In tema di falso documentale, la falsità in atto pubblico può integrare il falso per omissione allorché l’attestazione incompleta –perché priva dell’informazione su un determinato fatto– attribuisca al tenore dell’atto un senso diverso, così che l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero”.
Cass. pen. n.32951/2014: “Integra il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che, formando una relazione di servizio, espone una parziale rappresentazione di quanto accaduto, tacendo dati la cui omissione, non ultronea nell’economia dell’atto, produce il risultato di una documentazione incompleta e comunque contraria, anche se parzialmente, al vero“. (Fattispecie in cui un comandante della guardia di finanza aveva attestato su un foglio di servizio l’avvenuto svolgimento di un’attività compiuta da alcuni militari in un determinato territorio, senza tuttavia aggiungere che altra attività era stata svolta dai medesimi finanzieri quello stesso giorno in altro comune).
Cass. pen. n. 18191/2009: “L’incompletezza di una attestazione dà luogo a una falsità ideologica qualora il contenuto espositivo dell’atto sia tale da far assumere all’omissione dell’informazione relativa ad un determinato fatto, il significato di negazione della sua esistenza”.
Cass. pen. n. 22694/2005: “Non è innocua la falsità ideologica consistente nella omessa attestazione, sulla cartella clinica, di un prelievo ematico che abbia preceduto l’amniocentesi, posto che la cartella è atto pubblico che esplica la funzione di diario dell’intervento medico ed anche dei relativi fatti clinici rilevanti”.
Cass. pen. n. 6018/1992: “Integrano gli estremi della falsità ideologica soltanto le false (o le omesse) attestazioni del pubblico ufficiale che abbiano ad oggetto fatti da lui compiuti o caduti sotto la sua diretta e personale percezione…”.
Cass. pen. n. 22200/2017: “In tema di falso documentale, il falso ideologico per omissione è integrato allorché l’attestazione incompleta –perché priva dell’informazione su un determinato fatto– attribuisca all’atto il significato di un attestazione non conforme ai fatti; tuttavia la condotta illecita è configurabile soltanto se sussiste un relativo obbligo giuridico di rappresentazione”.
b- Nella circostanza di falso materiale, nell’ipotesi di sussistenza di solo atto pubblico, ovvero non fidefacente, si configurerà il reato di “falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici non fidefacenti” di cui all’art. 476 co. I c.p. e/o -a seconda delle circostanze delittuose messe in atto dall’agente- di ‘soppressione e distruzione di atti veri‘ di cui all’art. 490 c.p. con le pene previste sempre all’art. 476 co. I, mentre nell’ipotesi di sussistenza di atto pubblico fidefacente, si configurerà il reato di “falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici che fanno fede fino a querela di falso” di cui all’art. 476 co. II c.p. e/o di ‘soppressione e distruzione di atti veri‘ di cui all’art. 490 c.p. con le pene previste sempre all’art. 476 co. II.
Cass. Pen. Sez. V, n. 1098 del 27-01-1998: <…Ne deriva che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico, punibili in quanto tali; né rileva l’intento che muove l’agente, atteso che le fattispecie delineate in materia dal vigente codice sono connotate dal dolo generico e non dal dolo specifico>.
Cass. Pen. n. 2658/1993: “Il delitto di falso per soppressione non richiede il dolo specifico…essendo sufficiente la consapevolezza che, in conseguenza della condotta illecita, l’atto soppresso, distrutto od occultato non sarà in condizione di adempiere alla funzione di prova che gli è propria…”.
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N.B. Stefano Ligorio è anche autore di un libro dal titolo: ‘IL RISARCIMENTO NEL PROCESSO CIVILE -errori da evitare, e rimedi esperibili– (Guida Pratica alla luce del Codice Civile, del Codice di Procedura Civile, e della Giurisprudenza in materia)’.
Un pensiero riguardo “Legge e Diritto – I registri nosologici (ambulatoriali) hanno valenza medico legale.”
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